Frankenstein
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E prosegue. Mary Shelley
rimase intenzionalmente vaga.

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Non sappiamo se si tratti di magia nera
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o di qualche strano elisir.
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Ma di certo non si parla di lampi e tuoni,
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impulsi elettrici e così via.
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Non c'è niente del genere.
Questa è una storia carica di significati.

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Possiamo parlare di Faust o dell'uomo
che cerca di superare se stesso,

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dell'uomo che cerca di emulare Dio.
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È una storia dai molteplici aspetti,
e questo spiega perché

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questo particolare concetto
abbia trasceso il tempo.

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Il romanzo era perfetto
per una trasposizione teatrale

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e i drammaturghi
se ne resero conto immediatamente.

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Così a pochi anni di distanza
dalla pubblicazione del libro

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apparvero le prime versioni teatrali.
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Nel 1823,
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Richard Peake presentò Presumption,
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in cui si parlava
del destino di Frankenstein

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in toni piuttosto melodrammatici.
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Il mostro fu interpretato
da Thomas Potter Cooke,

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che ebbe una sorte molto simile
a quella di Karloff un secolo dopo.

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Cooke finì per interpretare Frankenstein
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in ogni possibile versione
di quell'opera teatrale e in altre opere.

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La produzione teatrale
che influenzò di più la Universal

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fu la versione del 1927 di Peggy Webling,
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prodotta dall'attore
e impresario britannico Hamilton Deane.

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Fu Deane stesso a interpretare il mostro.
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Lo storico cinematografico
ed ex attore lvan Butler

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era membro
della sua compagnia teatrale.

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Dovette affidarsi
esclusivamente al make-up di scena,

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che era comunque piuttosto efficace.
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Un misto di diverse tonalità
di verde, giallo e blu.

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E una parrucca aggrovigliata.
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Eravamo alti uguali, ma lui usava
speciali suole sotto le scarpe

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per sembrare più alto.
Alla fine era davvero enorme.

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L'abito di scena della creatura interpretata

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