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Perché lo hai ucciso?
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Probabilmente ha una famiglia.
E i figli cresceranno senza di lui.
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Mi aveva creduto.
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Oh, avrei dovuto salvarlo
perché ti aveva creduto.
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- No, no. Non per quello.
- Sì che è per quello.
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Beh, sì, per quello.
Che c'è di male?
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- È il mio lavoro.
- Bel lavoro.
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- Vai verso il centro.
- Che vuol dire, il centro?
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Come vai a matematica? Dovevo fare
cinque lavori. Ne ho fatti quattro.
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Perché non mi hai ucciso
e non ti sei preso un altro tassista?
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Perché sei in gamba.
Ci siamo dentro insieme.
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I destini si sono incrociati.
Le coincidenze cosmiche, sai.
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- Andiamo. Tutte stronzate.
- Tutta quella roba. Dico stronzate?
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Tu sei un monumento alle stronzate.
Le dici anche a te stesso,
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"Elimino la spazzatura,
uccido i cattivi".
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- È quello che hai detto.
- Mi hai creduto?
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- E allora cosa avevano fatto?
- Che ne so? Tu lo sai?
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Per me hanno tutti quell'aria
da "testimone per l'accusa".
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Forse sono gli accusati principali
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di qualcuno che
non vuole essere accusato.
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È questo il motivo?
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Questo è il perché. Non c'è un motivo.
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Non c'è un buon o un cattivo motivo
per vivere o morire.
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E allora tu come sei?
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Indifferente.
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Accettalo.
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Milioni di galassie
di centinaia di milioni di stelle
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e un piccolo granello su una
per un istante.
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Ecco come siamo. Persi nello spazio.
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Il poliziotto, tu, io,
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chi se ne accorge?
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Qual è il tuo problema?
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In che senso?
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Se qualcuno ti puntasse una pistola
alla testa e ti dicesse:
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"Devi dirmi che succede
a questa persona qui
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o ti uccido.
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Che cos'è che lo fa andare avanti?
Cosa stava pensando?"
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Non potresti farlo, vero?
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Perché dovrebbero ucciderti
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perché non sai cosa pensano gli altri.
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Sei messo male, amico.
Molto male.